Sostenibilità

Affari d’acqua. La minerale è sott’accusa

Solo in Lombardia è un business da 1 miliardo di euro l’anno. Ma alla regione, proprietaria delle fonti, restano 150mila euro. Neanche per smaltire le bottiglie

di Barbara Fabiani

Ogni giorno sei italiani su dieci pasteggiano ad acqua minerale, convinti che sia salutare. Non sanno invece di bere un?acqua irragionevolmente più cara di quella del rubinetto e che contiene elementi minerali, anche tossici, in quantità tali che in un acquedotto cittadino sarebbero inaccettabili. Lo leggiamo sul primo Rapporto nazionale sull?acqua, in parte dedicato «allo scandalo delle acque minerali in Italia». Con 169 litri a testa all?anno (e una spesa di 50 euro) gli italiani sono i più grandi consumatori di acqua minerale al mondo, cosa che si traduce in un giro di affari di 2,8 miliardi di euro, sempre all?anno, e ben 266 marche commercializzate. Ma perché gli enti pubblici regionali continuano a rilasciare a prezzi irrisori concessioni di sfruttamento delle sorgenti, se poi a guadagnarci sono le aziende? La Lombardia, ad esempio, è la regione con la più alta densità di fonti che alimentano un business di 1 miliardo di euro, un terzo del fatturato complessivo. Ma rispetto ai favolosi incassi delle imprese private, lo scorso anno la Regione ha ottenuto soltanto 150mila euro. Una cifra ridicola, per incassare la quale le Regioni contravvengono anche alla legge Galli 36/94 (sulle risorse idriche) che definisce le acque minerali «un patrimonio indisponibile delle Regioni», cioè un bene appartenente agli abitanti. Non solo, è probabile poi che quei proventi non bastino neanche a pagare lo smaltimento di milioni di bottiglie in plastica. E fa riflettere che noti marchi ?italiani? siano proprietà di multinazionali come Nestlè (San Pellegrino, Levissima, Panna) e Danone (San Benedetto, Ferrarelle). Ma le acque minerali sono migliori dell?acqua del rubinetto? No. È frequente che in esse sia presente una quantità di 40/50 parti di arsenico per microgrammo, mentre l?acqua potabile non può contenerne più di 10 parti. Il motivo di questa differenza è che le acque minerali non sono definite per legge ?potabili? bensì ?terapeutiche?, servirebbero cioè solo a chi ha carenze o problemi fisici. Inoltre se osserviamo le etichette sulle bottiglie troviamo la data di scadenza ma raramente quella di imbottigliamento; per quanto ne sappiamo l?acqua che beviamo potrebbe avere stazionato in una bottiglia di plastica, magari al sole, per anni. Eppure gli italiani continuano a preferirla, perché la pubblicità li ha convinti che «minerale è meglio». Nonostante un litro d?acqua di rubinetto costi meno di un centesimo di euro contro una media di un euro al litro per le acque minerali, cioè mille volte di più. Ma non c?è limite al business. L?ultima trovata è della Coca Cola che sta mettendo sul mercato l?acqua ?purificata?, cioè acqua di acquedotto demineralizzata e declorata. È come se il vostro vicino di casa facesse scorrere attraverso un filtro l?acqua della cucina, la imbottigliasse e ve la vendesse a un euro. La comprereste?


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